DESIGNER PER CASO
Dall’architettura d’interni al mondo degli oggetti, per Vito Noto il passo è stato breve. La sua missione? Rendere la vita facile e piacevole.
COOPERAZIONE: Designer non si nasce, si diventa. Cosa le ha fatto scoccare la scintilla della creatività al servizio del cliente?
VITO NOTO: Potrei parlare di una vocazione scoperta strada facendo, un po’ per caso. Attorno alla metà degli anni Settanta, sul percorso verso l’architettura, all’improvviso mi sono innamorato dell’idea di occuparmi d’interni. E a questo punto il passo verso il design è stato breve: il mondo degli oggetti è divenuto il mio mondo e ci sono rimasto.
Ma quale significato assume, per lei, l’attività del designer?
Secondo una visione piuttosto comune, io dovrei essere quell’artista «che fa cose belle». Questo è vero SI, ma a mio avviso bisogna spingersi oltre. L’abilità basilare del designer sta infatti non tanto, o non solo, nell’attribuire fascino a un’invenzione, bensì nel renderla funzionale. Io ho un obiettivo ben definito: i miei prodotti devono rendere la vita più facile e più piacevole. A prescindere dal loro ruolo nella vita quotidiana.
Per fare ciò, immagino sia necessario essere sempre proiettati avanti nel tempo…
In effetti è cosi. Quando sto lavorando a un progetto mi sposto nel futuro e tento di capire quello di cui domani la gente potrebbe avere bisogno, e che oggi non esiste ancora. Il successo di un oggetto dipende tutto dal frangente in cui giunge sul mercato: se è troppo presto non viene capito, se arriva tardi vuol dire che si è perso il treno.
A ben guardare, sono infatti le persone comuni a decretare trionfi e sconfitte. Come giudica, allora, i gusti del grande pubblico?
Devo ammettere che molti non sono ancora in grado di «leggere» la qualità del prodotto sullo scaffale. Spesso ci si lascia prendere la mano da acquisti effettuati d’impulso, meglio ancora se basati su prezzi stracciati, salvo poi rendersi conto poco più tardi di non essere in realtà soddisfatti della propria scelta.
È un problema piuttosto comune: esiste un modo o una strategia per arginarlo?
Non trascurando mai le proprie aspettative. In altre parole, non è solo il prezzo che conta.
Già, il prezzo. Che nel caso di oggetti da design raffinato può raggiungere livelli da capogiro o sbaglio?
Può capitare. Di recente, per esempio, mi è capitato di dare forma a un temperino fatto di un unico pezzo. La conseguenza è ovvia. si riducono sia i tempi sia i costi di produzione. Perciò, paradossalmente, dovrebbe costare meno di quelli classici. Ma i prezzi, purtroppo, sono decisi dal mercato e non dagli inventori.
Oltre al temperino, quali sono le altre sue «trovate» particolarmente riuscite?
C’è solo l’imbarazzo della scelta e si parte dall’orologio da polso che si trasforma in orologio da tavolo, per passare ai respiratori artificiali, fino ad arrivare alle pipettatrici da laboratorio.
Un bel campionario, non c’è che dire. Ma lei non si annoia mai?
Assolutamente no. La mia è un’attività troppo stimolante per avere tempo di stancarsi o di abbandonarsi al disagio.
Insomma, si dichiara innamorato del suo lavoro…
Senza dubbio. Anzi, per me realizzare qualcosa per gli altri è non solo un piacere, ma quasi una necessità: per crescere devo proporre qualcosa di nuovo. Sempre e ovunque. Il mio modo personale per lasciare una traccia nell’esistenza delle persone è proprio questo.
A quali fonti d’ispirazione attinge quando è alla ricerca di nuove idee?
Dipende dalle singole situazioni. In alcuni casi lo stimolo proviene dall’industria, che intuisce una necessità e mi chiede di trovare una soluzione innovativa. Altre volte, invece, la proposta nasce nel mio studio. Un elemento è comunque certo: la natura, per me, è un libro aperto, che attende solo di essere letto e interpretato. E può persino capitare che una passeggiata nel bosco sia più fruttuosa di una giornata passata a lambiccarsi il cervello davanti al monitor di un computer.
Le aziende con cui collabora si trovano prevalentemente sull’asse Firenze-Norimberga, benché non manchino rapporti con Svezia, Olanda e Stati Uniti. Ma come la mettiamo con il Ticino?
Nel mio settore, il nostro cantone si è malauguratamente manifestato alquanto arido, offrendo finora pochi sbocchi. Ma Milano si sta ingrandendo e dunque sono fiducioso: prima o poi le ripercussioni positive di questa espansione raggiungeranno pure la nostra regione.
Intende dire che il Ticino deve essere visto come un sobborgo della metropoli lombarda?
Ritengo che sia davvero ora di ricucire questo storico strappo. Così come la città di Zurigo, del resto, è in costante contatto con il Sud della Germania. La paura del “diverso”, dello “straniero”, non va mai messa in primo piano, poiché non deve prevalere o, peggio ancora, bloccare i rapporti di partenariato. Altrimenti sarebbe la fine.
IL RITRATTO
Vito Noto è nato a Ragusa il 15 settembre 1955, dal 1982 vive e lavora a Cadro. È titolare della Vito Noto Industriai Design, ha lavorato a Zurigo, Amburgo e Parigi. Insignito di diversi premi professionali, ricorda con piacere il «Design Preis Schweiz 1995» per il suo futuristico laboratorio elettromedicale. È sposato con Judith e ha due figli, Ciril e Noémi. Hobby: la fotografia. t presidente del FotoClubLugano. Si definisce molto curioso. Pregio: vuole approfondire ogni cosa, in modo da capirla in ogni sua sfaccettatura. Difetto: l’incontrollabilità del perfezionismo.
Non rinuncia: al legame con la gente e il territorio, e nemmeno alla buona cucina.